Attualità

(dal 03/08/05)
"Un C@ppuccino per un Pc"

(dal 06/07/05)
Gli americani sparano ad una cometa e a Mosca si arrabbiano
di Antonino Pingue

(dal 06/07/05)
A proposito dello spessore morale degli italiani
di Enzo Russo

(dal 15/06/05)
Dell’esito del referendum e della morale degli italiani
di Enzo Russo

(dal 13/06/05)
In dieci battute
(a proposito dell’astensione nel referendum)

di Michele Mocciola

(dal 3/06/05)
Anche gli olandesi dicono no alla Costituzione europea
di Enzo Russo

(dal 25/05/05)
Word Press Photo - Edizione 2005

(dal 6/05/05)
a.a.a. vendansi vecchia Volkswagen “benedetta XVI”

(dal 28/03/05)
Musica per un ascolto inusuale

(dal 15/03/05)
La lingua italiana: Severgnini scopre l’acqua calda
di Paola Sereni

(dal 15/03/05)
Mostra: La ricerca dell’infinito

(dal 26/02/05)
Shelley, l’ateismo e... l’inventore della carta carbone

(dal 24/02/05)
La lingua italiana non ha bisogno di essere amata ma rispettata
di Paola Sereni

(dal 10/02/05)
INCANTATI DA ROMA /
SPELLBOUND BY ROME

(dal 10/02/05)
Incisioni pittoriche di vedute italiane
di Caterina Pellitta

 

 

Archivio Attualità

(dal 02/02/05)
L'Home Banking, questa sconosciuta

(dal 03/02/05)
Ricerca scientifica e nuove tecnologie:
Bill Gates compra le uova e Trento si tiene la gallina.

(dal 15/01/05)
Morandi a Firenze
di Isabella La Costa

(dal 8/01/05)
Lingue, linguaggi e dialetti

(dal 3/01/05)
Mostra Internazionale: Il Codice Atlantico nell'edizione Hoepli

(dal 7/12/2004)
Le realizzazioni di Francesca Cataldi al Giardino Segreto di via di Panico
di Laura Fortunato

Il Boom di Google
di Fiammetta Lozzi Gallo

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 

 

 


NUOVE TECNOLOGIE:
"UN C@PPUCCINO PER UN PC"


Il Governo promuove la diffusione del pc tra gli studenti delle università italiane, lanciando, a partire già dal prossimo anno accademico, l'operazione "Un c@ppuccino per un pc". Sulla scia delle precedenti iniziative che hanno consentito l'acquisto di pc da parte dei più giovani, delle famiglie a basso reddito e dei dipendenti pubblici, l'iniziativa appena varata prevede la creazione di un fondo di garanzia di 2,5 milioni di euro per il 2005, al fine di facilitare l'accesso al credito bancario da parte degli universitari, che potranno così acquistare un pc portatile, dotato di connessione Internet anche wi-fi. In particolare, sarà concesso agli studenti più meritevoli, in regola con l'iscrizione ed esentati dal pagamento delle tasse e dei contributi universitari, un bonus governativo di 200 euro. Il prestito agevolato, garantito dallo Stato, verrà rimborsato (mediamente) con un euro al giorno - che è, appunto, il prezzo di un cappuccino -, entro un arco di tempo che andrà, in relazione all'entità del prestito, da un minimo di 18 ad un massimo di 24 mesi.


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Gli americani sparano ad una cometa e a Mosca si arrabbiano
di Antonino Pingue

 

Capitano cose strane in questo nuovo secolo. Fra queste l’ultima novità è che gli americani si sono messi a sparare alle comete (anche…). Niente paura: le ragioni dell’attacco non sono di carattere militare. La cometa non era sospettata di attività terroristiche, non era insomma una “cometa canaglia”, né la sua distruzione è da archiviare in una “guerra preventiva” al prossimo venturo Natale. Le ragioni sono invece di carattere squisitamente scientifico.

Ecco perché, nella notte fra il 3 e il 4 luglio, una sonda spaziale della Nasa si è avvicinata ed ha colpito la cometa Templ 1.
La sonda, grande come una lavatrice, ha compiuto tre manovre nel corso di due ore di missione - da quando cioè è stata sganciata dal razzo Deep Impact - e si è schiantata contro la cometa in perfetto orario, inviando immagini del suo terreno roccioso fino a circa 3,7 secondi prima dell'impatto.
Un'immagine dello schianto scattata alle 7.52 da Deep Impact mostra una vampata brillante di materiale che proviene dalla parte posteriore della cometa.
«Abbiamo colpito esattamente dove volevamo farlo», ha detto Don Yeomans, uno scienziato del Jet Propulsion Laboratory Nasa. La spettacolare collisione, avvenuta a 134 milioni dalla terra, è riuscita a far scaturire uno "spruzzo" di materia sottostante, materiale che si è formato miliardi di anni fa durante la creazione del sistema solare e che ora potrà essere studiato dagli scienziati.
«Ora, credo che abbiamo una comprensione completamente diversa del nostro sistema solare» ha detto il direttore del laboratorio, Charles Elachi. «Il nostro successo va oltre le nostre aspettative».
«L'impatto è stato più grande di quanto mi attendessi, più grande di quanto ci aspettassimo - ha detto Yeoman - abbiamo tutti i dati che potevano chiedere e il team scientifico è in estasi».
Meno in estasi è andata la signora Marina Bai, astrologa russa, (badate bene, astrologa non astronoma) che ha fatto causa per danni (300 milioni di dollari) alla Nasa, accusata di aver modificato il suo oroscopo.
«E' ovvio che l'esplosione muterà alcuni elementi dell'orbita della cometa, interferendo così con il mio lavoro e sconvolgendo il mio oroscopo» ha dichiarato l'astrologa “professionista” nei documenti legali consegnati con la denuncia.
La portavoce di una Corte di distretto di Mosca ha dichiarato che sono in corso i preparativi per il caso, ma non ha svelato la data d'inizio dell'udienza.
I rappresentanti della Nasa a Mosca non erano reperibili per fare commenti sulla questione.

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A proposito dello spessore morale degli italiani
di Enzo Russo

 

Nella sua rubrica Buongiorno su La Stampa di Torino il 22 giugno u.s. Massimo Gramellini ha pubblicato il suo blog "Anomalo nella norma" che la dice lunga sullo spessore morale degli italiani, secondo il Cardinale Ruini, dimostrato in occasione del referendum sulla fecondazione assistita. Lo riporto integralmente per chi non l'avesse letto.

"A Bologna una ragazza viene violentata al parco e i cittadini si voltano dall’altra parte. A Napoli la polizia insegue due banditi, uno dei quali arrestato il 6 giugno ma scarcerato il giorno dopo, e qui in effetti i cittadini passano all’azione: tirando le pietre agli agenti. La politica oppone al dissesto morale le sue banalità automatiche. Il bau-bau da bar dei leghisti che straparlano di castrazioni ma non riescono neppure a scrivere una legge che equipari lo stupro all'omicidio volontario. E i sociologismi della sinistra da salotto che dà sempre la colpa di tutto alla carenza di lavoro, senza spiegarci perché il lavoro scarseggia ovunque ma certe cose succedono soltanto a Napoli. Un intero quartiere prende a sassate lo Stato per difendere dei criminali comuni e il sindaco Iervolino, anziché chiedere scusa per come le istituzioni non insegnano l’educazione civica agli amministrati, riesce solo a dirci che si tratta di un fatto «anomalo», dato che i rivoltosi non erano parenti dei banditi. Il loro è stato uno slancio disinteressato, non come quello del giovane lasciato dalla ragazza che ieri ha sparato per la strada alla madre e al fratellino della sua ex.

Fossi un napoletano perbene, sarei stufo di veder insultata la mia città e farei qualcosa di visibile per prendere le distanze da certi compaesani: una marcia come quella dei quarantamila. Fossi poi una Clementina in vena d’eroismi, lascerei perdere Kabul e proverei a penetrare nel quartiere di Scampia con una copia della Costituzione fra le mani".

Ulteriori approfondimenti sul suo Blog http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/

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Dell’esito del referendum e della morale degli italiani.
di Enzo Russo

 

 

 

Solo il 25,9% degli aventi diritto ha partecipato al referendum. Una sconfitta sonora per quelli che lo hanno voluto. Si è chiesta agli italiani la loro opinione su questioni molto complesse, difficili e dalle forti implicazioni etiche. Gli italiani (cattolici e non), a stragrande maggioranza, si sono rifiutati di darla.

Si è detto che alcuni partiti hanno vinto ed altri hanno perso e molti hanno ammesso apertamente la sconfitta. Il discorso tiene fino ad un certo punto. Si trattava infatti di un voto di coscienza informata, di un voto trasversale e quindi i partiti c’entrano sino ad un certo punto. Correttamente alcuni di essi hanno lasciato libertà di coscienza anche se questo non ha impedito che svolgessero attività di orientamento. E’ loro compito cercare di aiutare i loro elettori ad formarsi un opinione consapevole ed informata. Da questo punto di vista sono risibili le critiche prospettate nei confronti di alcuni leader che hanno avuto il coraggio di assumere posizioni anche in contrasto con i loro stessi partiti.

Ma durante questa consultazione è avvenuto qualcosa di anomalo. Si è formato un partito trasversale: quello dell’astensione apertamente voluto e sostenuto dalla Chiesa Cattolica. Premetto che questa ha tutti i diritti per intervenire in materia che ha forti risvolti etici. E’ innegabile tuttavia che la sua potente macchina organizzativa ha alterato il gioco democratico. La sua incitazione all’astensione è stata efficace ma di dubbio valore morale.

Si è detto che alla sconfitta hanno concorso diversi fattori quali l’abuso e l’usura dello strumento referendario, l’opinione circa la sua inutilità perché in altre occasioni non si è tenuto conto dei risultati, della stanchezza della gente che trova difficile partecipare, del distacco della classe dirigente rispetto al Paese reale, ecc.. In tutte le spiegazioni c’è qualche elemento di verità ma c’è un altra spiegazione che, secondo me, ha concorso a determinare in modo non secondario il risultato. Di essa uomini politici e commentatori non parlano apertamente per opportunismo o ipocrisia.

Moltissimi italiani si sono uniti al partito dell’astensione per ignavia. Non trovo convincente – anche se vorrei tanto crederci – la spiegazione del Cardinale Ruini secondo cui avrebbe vinto “la coscienza morale degli italiani”. Vorrei tanto credere alle parole del Presidente della Conferenza episcopale ma ho paura che la massiccia decisione degli italiani non dipenda molto né dalla loro saggezza né dal loro spessore morale. Anche perché sulle questioni morali a me pare non appropriata l’astensione. E’ stato citato non a caso Ponzio Pilato che con quel suo gesto ha avuto un ruolo non secondario nella condanna e crocifissione di Gesù. L’astensione è una scelta che mantiene grossi margini di ambiguità anche quando nel contesto specifico assume un preciso significato (qui di difesa di una “buona legge” di cui dirò tra poco).

Se uno pensa allo storico paganesimo degli italiani, al loro scarso senso civico, alla scarsa sensibilità sui conflitti di interesse, al perdonismo, al familismo, alla loro millenaria propensione ad arrangiarsi acquisita anche per necessità sotto ogni dominazione straniera, alla loro abilità compromissorie di ogni tipo, francamente pensare che improvvisamente siano divenuti saggi e dotati di un forte senso morale sembra poco credibile anche perché nel caso di specie, siamo davanti a fattispecie molto difficili da dirimere. Al di là di alcune prospettazioni propagandistiche, entrambe le posizioni contrapposte sono revocabili in dubbio perché ogni protocollo medico può essere abusato. Ma la Chiesa Cattolica storicamente non si lascia cogliere dal dubbio, tende ad assumere posizioni dottrinarie nette e precise, spesso dogmatiche, salvo poi a disattenderle nella pratica, salvo a ravvedersi, magari con qualche secolo di ritardo, quando si dimostrino insostenibili.

Una seconda considerazione che vorrei fare riguarda le modalità di approvazione della legge e le riforme costituzionali in cantiere. Se ministri e parlamentari della stessa maggioranza, già all’indomani dell’approvazione della legge n. 40, si sono ravveduti ed in parte dissociati qualche problema con il funzionamento dell’attuale meccanismo maggioritario c’è. Detta legge è stata approvata a colpi di maggioranza ma poteva essere approvata con un voto trasversale. Le istanze dell’opposizione non sono state tenute presenti. La legge è molto delicata e disciplina fattispecie molto particolari che non interessano la maggioranza dei cittadini che non hanno problemi di sterilità o di malattie genetiche. Questo forse giustifica anche il disinteresse a pronunciarsi. Ma se nella discussione di una legge la contrapposizione si sposta sul terreno della lotta tra il bene ed il male, il suo iter diventa necessariamente travagliato e suscettibile di portare ad esiti non soddisfacenti.

Questo mi porta a riflettere sul bicameralismo perfetto e alla necessità di salvaguardarlo – contro le riforme che lo vogliono eliminare - se esso porta ad una riflessione più attenta su come disciplinare questioni molto delicate e complesse. Se ministri e parlamentari della maggioranza si sono dissociati evidentemente hanno riconosciuto che questo lavoro non è stato fatto bene e che la legge presentava più di un problema. Anche da questo punto di vista, non appaiono convincenti le spiegazioni secondo cui “la classe dirigente ha perso il polso del Paese”. Sostenere una tesi del genere al riguardo della legge n. 40 mi sembra proprio una follia. A me sembra che il legislatore non abbia fatto, a colpi di maggioranza, un grande e meritorio lavoro ma sostenere che il popolo italiano sia stato più saggio della sua classe dirigente astenendosi, francamente, mi sembra troppo.

P.S.: Dopo aver scritto il pezzo, ho avuto modo di leggere il sondaggio di Renato Mannheimer sul Corriere della Sera. Titolo: L’astensione? Il disinteresse ha vinto su tutto. “Dunque, buona parte dell’astensione rilevata in questo referendum è motivata non tanto da una scelta politica o religiosa, quanto dal rifiuto o dalla difficoltà di approfondire troppo la questione”. Il Cardinale Ruini dovrebbe forse ridimensionare le sue dichiarazioni sulla saggezza e la morale degli italiani.

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In dieci battute
(a proposito dell’astensione nel referendum)

di Michele Mocciola

Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa breve riflessione dell'amico Michele Mocciola iscritto nella nostra mailing-list - anche alla luce dei risultati referendari e delle inevitabili polemiche
che seguiranno.
Michele Mocciola è Magistrato di Corte d’Appello e svolge le funzioni di Giudice presso il Tribunale di Brescia.

Il titolo IV° della Parte prima della Costituzione italiana, intitolato, Rapporti politici, fissa i principi generali -diritti e doveri- di partecipazione individuale
-e perciò collettiva- dei cittadini alla vita politica, riconoscendo il diritto di voto (art. 48), il diritto di costituire partititi politici (art. 49), il diritto di sollecitare le Camere a legiferare in determinate materie (art. 50), il diritto di accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici (art. 51), l’obbligo del servizio di leva (art. 52), l’obbligo contributivo (art. 53) e, finalmente, il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi (art. 54).
In questo ambito la medesima Costituzione sancisce, con formula inequivoca, che Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico (art. 48 c. 2, seconda parte).
Insomma, questa parte della nostra Costituzione regolamenta la vita di ciascun cittadino all’interno del sistema repubblicano e democratico sancendo quei diritti e doveri fondamentali i quali segnano l’appartenenza di ciascuno di noi ad un’unica collettività politica.
In seguito, la Costituzione, occupandosi del Parlamento e della produzione delle leggi e delle regole che a questa produzione presiedono -Parte seconda, Titolo primo, sezione seconda- disciplina l’istituto del referendum abrogativo, cioè di quella consultazione popolare diretta finalizzata all’abrogazione o meno di una legge (art. 75). A questo proposito la Costituzione impone due requisiti numerici sia perchè la proposta del referendum sia valida sia perchè l’esito sia legittimo.
Il primo è che la richiesta provenga da almeno cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, il secondo che abbiano partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Le predette condizioni sono comprensibili a chiunque.
In un sistema istituzionale nel quale la formazione delle leggi è demandata al Parlamento -organo di mediazione tra gli elettori e la legge- una volontà popolare residuale e incidente direttamente in questo processo di formazione legislativa, decidendo di abrogare ovvero di conservare una legge, in tanto può ammettersi in quanto sia espressione di un numero di elettori che sia realmente maggioritario, da cui il rilievo anche per coloro che non si recano a votare.
Ammettere, al contrario, la possibilità abrogativa ad un numero esiguo di elettori avrebbe legittimato una situazione -invero inconcepibile- in cui pochi soggetti impongono le proprie regole ai molti di più, laddove, notoriamente, in Parlamento le regole sono approvate dalla maggioranza dei parlamentari che a loro volta sono espressione della maggioranza degli elettori.
Ecco quindi spiegato il motivo del requisito del quorum imposto dall’art. 75.
E’ poi evidente a tutti che non era possibile individuare analogo quorum in relazione alle altre forme di consultazione popolare – leggi: elezioni politiche – dal momento che non si poteva certo rischiare il vuoto istituzionale consentendo agli astensionisti di lasciare il Paese privo del suo organo fondamentale: il Parlamento ( o privo degli altri organi ad elezione diretta).
In queste ragioni tecniche risiede il senso, assai ragionevole, dell’art. 75.
Consegue che l’affermazione secondo cui la Costituzione autorizza e legittima l’astensione nei referendum a differenza delle altre consultazioni è una mera sciocchezza giuridica ed è un invito a violare i doveri costituzionali di ogni cittadino.
Infatti, anche per la consultazione referendaria permane il menzionato dovere civico sancito da una norma di principio della Costituzione, principio ineludibile e valevole per ogni occasione nella quale si è chiamati a votare, e permane l’obbligo di osservanza della Costituzione, che vale in primo luogo per coloro che ricoprono incarichi istituzionali. La previsione di invalidità del referendum serve a scongiurare i pericoli, teoricamente concepibili e di cui sopra, ma non può certo autorizzare condotte che la prima parte della Costituzione considera anti-doverose.
E adesso tutti coloro che hanno invitato ad astenersi vadano a confessarsi, grazie.


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Anche gli olandesi dicono no alla Costituzione europea 
di Enzo Russo*

 

Puntualmente arriva il secondo no alla Costituzione europea. Era nelle previsioni e queste si sono avverate. A me dispiace comunque. Come ha confermato la Commissione europea, le procedure di ratifica devono andare avanti. Bisogna verificare a fine ottobre 2006 quanti sono i Paesi contrari e quelli favorevoli.

Per gli olandesi avrebbero giocato motivazioni in parte diverse da quelle francesi: un doppio no alla globalizazione e all’immigrazione. Svilupperò alcune considerazioni su questi punti che, più o meno, riguardano anche gli altri popoli europei e le relative politiche che l’Unione europea porta avanti. Partiamo dalla globalizzazione.

E’ paradossale che in Olanda che ha sempre avuto alcune grandi imprese multinazionali, che ha avuto un grande economista come Ian Timbergen il quale già negli anni ’70 si occupò delle multinazionali per conto dell’Organizzazione internazionale del lavoro, si reagisca mostrando una scarsa comprensione dei termini del problema. Lo Stato nazionale ottocentesco è troppo grande e lontano per occuparsi dei problemi giornalieri della gente. E’ troppo piccolo per potere affrontare da solo i grandi problemi della globalizzazione dei mercati, della concorrenza dei Paesi in via di sviluppo, ecc.. E’ destinato a perdere sovranità da un lato a favore dei livelli sub-centrali di governo, dall’altro, a favore di entità sovranazionali tendenzialmente universali.

Rispetto ai problemi della globalizzazione non esiste una risposta nazionale. E’ illusoria e non funzionerebbe che per qualche anno. Nel medio termine sarebbe travolta. E’ proprio attraverso l’Unione europea che i Paesi membri possono affrontare questi problemi nelle sedi internazionali preposte con azioni coordinate delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite: l’Organizzazione mondiale del commercio; la Banca Mondiale; il Fondo monetario Internazionale; l’Organizzazione Mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura, ecc.. Lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel quale sarebbe opportuno sedesse un unico rappresentante dell’Unione europea. Gli olandesi informati conoscono queste cose meglio di me perché molti di loro hanno ampia esperienza internazionale.

Il problema è che, a livello europeo, deve venire una risposta comune a questi problemi, perché o si cerca di governare la globalizzazione o si è governati da essa. In questo ultimo caso, si pone un grosso problema di democrazia, di rispetto delle preferenze dei cittadini. Ma se prevale la concorrenza fiscale al ribasso non c’è Paese anche grande che possa contrastare le spinte dei mercati mondiali. Gli olandesi negli anni ’80 avevano un sistema di welfare molto generoso che hanno già rivisto negli anni ’90. Per un olandese era possibile lavorare per sei mesi e vivere sui sussidi per altri sei mesi. Il sistema era abusato da alcuni e, quindi, era inefficiente ed iniquo. E’ stato rivisto perché non era sostenibile.

Analogamente gli agricoltori olandesi beneficiano della politica agricola comune. Questa è stata sempre criticata a partire da una indagine che già negli anni ’70 svolse un Commissario della Comunità, l’olandese Mansholt. Tale politica, nonostante alcune revisioni, impegna tuttora la parte più rilevante del bilancio della Unione. Assicura un certo livello di reddito alle agricolture più efficienti di alcune regioni europee. E’ fortemente protezionista, danneggia i consumatori interni, impedisce le importazioni dai Paesi extra-comunitari. La PAC è destinata ad essere ridimensionata perché inefficiente e non sostenibile - con o senza la Costituzione europea. Peraltro i Paesi contributori netti al bilancio comunitario come la Germania, la Francia, l’Italia sarebbero i maggiori interessati ad addivenire ad una revisione di questa ed altre politiche per concordare politiche di sostegno dirette comunque rispettose di regole comuni. In altre parole, almeno in parte, si potrebbe evitare il giro vizioso dei contributi al bilancio comunitario, dei finanziamenti (aiuti) ricevuti e, quindi, del calcolo dei rimborsi che ammorba la trattativa sugli accordi finanziari per il periodo 2007-2013 sui quali l’Italia ha già ripetutamente minacciato di mettere il veto.

Su queste ed altre delicate questioni purtroppo i governi nazionali non rifuggono da comportamenti populistici e demagogici, non di rado soffiando sullo scontento popolare e attribuendone la colpa all’Europa. Salvo poi meravigliarsi che la gente comune voti contro l'Europa. Certe politiche poco efficienti vanno cambiate con o senza la Costituzione europea. L’alternativa protezionista e isolazionista non esiste. La Costituzione europea ha adottato il modello della democrazia partecipativa e l’economia sociale di mercato. Tale modello al momento è l’unica terza via che si differenzia dal capitalismo neo-liberista nord-americano e dai modelli populisti, neo-corporativi, autoritari, non competitivi, inefficienti, corrotti e di sfruttamento che prevalgono fuori dall’Occidente. Il governo europeo deve sapere rispondere alle aspettative della gente ma tutti sappiamo che, allo stato, questo dipende innanzitutto dai governi dei Paesi membri i quali non possono utilizzare il primo come capro espiatorio delle loro incapacità.

Qualche considerazione finale sull’immigrazione e la xenofobia. Nella Unione europea prevalgono Paesi con la popolazione più vecchia del mondo. Un afflusso adeguato di immigrati è una necessità se non si vuole accettare un declino ineluttabile. Al di là delle necessità economiche, l’Unione europea ha adottato giustamente un modello aperto, ispirato ai diritti universali del cittadino, e la Carta dei diritti fondamentali di Nizza (2000) che tutti i Paesi hanno approvato. La Costituzione europea non è lo statuto di un club esclusivo, chiuso ed elitario. Nel mondo globalizzato, la prospettiva del governo mondiale sta diventando sempre più realistica. Il governo europeo che è già una realtà in essere, con o senza la Costituzione europea, non sarebbe che una dimensione regionale di quello mondiale.

In tutto il mondo sono in corso processi di integrazione economica di aree sempre più allargate. La libertà e la democrazia sono alla base dello sviluppo economico e civile. La Turchia, a partire dalla rivoluzione di Ataturk, ha fatto una scelta strategica ormai secolare a favore della democrazia di tipo occidentale. In Germania milioni di Turchi convivono pacificamente co i tedeschi e, così, in altri Paesi. Il modello europeo di società è aperto. Oggi sono i Turchi a chiedere un Trattato di associazione ed in prospettiva la piena adesione. Domani potrebbero essere altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e non. Ai tempi di Roma, il Mediterraneo era un mare interno. Se i paesi rivieraschi adeguano le loro istituzioni agli standard democratici della Unione europea, dell’OSCE, delle Nazion Unite, non si può opporre un rifiuto perché altrimenti si tradirebbe lo spirito universalistico della Costituzione europea. Se quelle scritte nel II Trattato di Roma non sono solo parole, bisogna essere coerenti e bisogna battersi perché esse diventino realtà operative.

P.S.: Già in occasione dell’esito del referendum francese ed ora, dopo quello olandese, il Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, trova modo di affermare che ormai la Costituzione europea è morta. Non si può dire che egli sia allineato con il Presidente Ciampi che, solo alcune settimane fa, ha ricevuto il Premio Carlo Magno proprio per il suo alto impegno per l’Europa e la sua Costituzione.

*Enzo Russo è un economista che insegna alla Facoltà di Economia de La Sapienza. Ulteriori approfondimenti sul suo Blog http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/

 

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WORLD PRESS PHOTO
Edizione 2005


I dolori del mondo, quasi soltanto questi, come se la storia dell’anno appena trascorso fosse soltanto fatta di guerre, violenze, tsunami…
E’, come al solito, un pugno allo stomaco l’edizione 2005 delle migliori foto giornalistiche “World press photo” giunta alla quarantottesima edizione e visibile fino a domenica prossima (29 maggio) al museo di Roma in Trastevere.
Circa 200 immagini, in bianco e nero e a colori per fissare la disperazione di una donna per la morte di un parente dopo la catastrofe dello tsunami (Foto dell’anno 2004 a Arko Datta, dell’agenzia Reuters); o la fragile sopravvivenza di un soldato americano scampato a un primo attentato (è l’immagine di David Robert Swanson), ma non al secondo; o l’allegra fuga di due ragazzini che attraversano una nuvola di locuste.
L’Iraq e l’Afghanistan: le guerre e i dopo-guerra. Il boom cinese spiegato con immagini da “Tempi moderni”. Le violenze fisiche su ragazze che possono oramai esprimersi soltanto con gli occhi. Ma anche le sperdute regioni dove la religione battista vieta l’elettricità o una foto del campionato di tennis da tavolo apparentemente rubata a Mondrian…
Da non perdere, dalle 10 alle 20, lunedì escluso. Piazza Sant’Egidio 1/ B. Roma


Fe. Al.

 

 

 

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a.a.a. vendansi vecchia Volkswagen “benedetta XVI”
 

Internet è comunicazione globale, l’abbiamo già detto molte volte. Una comunicazione che si declina in molti modi e dà molte occasioni, alcune anche insospettate. Capita così che un sito che conosce in questi ultimi mesi un grande successo, sia protagonista di un fatto assai singolare.
Il sito è eBay (per tutti i soci che sono curiosi e vogliano darci un'occhiata lo trovate all’indirizzo www.ebay.it ) e si occupa di mettere in comunicazione utenti che vogliono vendere e acquistare qualcosa. Una specie di Porta Portese, il noto mercatino romano, o di PortoBello, la nota via londinese. Solo che eBay, che funziona e dove puoi veramente trovare di tutto e a prezzi ottimi, collega utenti di tutto il mondo.
Così capita che si metta in vendita una Golf Volkswagen di seconda mano una volta appartenuta al nuovo Papa Benedetto XVI.
L’asta, perché eBay funziona con il meccanismo dell’asta, si è conclusa alle 7:30 di giovedì 5 maggio ed ha visto la vittoria di un utente registrato come "Golden Palace Casino" che ha acquistato la vecchia auto per 188.938 euro.
"L'offerta vincente viene da qualcuno che ha spesso comprato articoli inusuali in passato", ha detto la portavoce di eBay, Daphne Rauch, aggiungendo che il vincitore è di Austin, in Texas.
Il prezzo si è raddoppiato nelle ultime 24 ore. Ci sono state 8,4 milioni di visite al sito web durante l'asta, durata 10 giorni.
Le offerte si sono moltiplicate nei minuti finali di giovedì, quasi in coincidenza con la ricorrenza cristiana dell'Ascensione.
"Non avevo mai visto niente di simile", ha aggiunto Rauch, spiegando che il vincitore dovrà comparire di persona per prendere l'auto, registrata per la prima volta nel marzo del '99 a nome di Joseph Ratzinger, il cardinale tedesco diventato Papa Benedetto XVI.
Ma il fatto più curioso, pensateci, non è tanto la cifra raggiunta quanto il fatto che il pontefice stesso, o comunque qualche suo stretto collaboratore, abbiano scelto Internet per vendere l’auto.
Insomma signori, clicchiamo senza vergogna, su Internet capita anche di incontrare il Papa.


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Musica per un ascolto inusuale.
Commenti al concerto di domenica 20 marzo 05 dell'A.R.A.M.
di Ayres Cenni e Carlo Gabrielli

 

Ogni domenica mattina la romana Galleria Nazionale d'Arte moderna regala ai suoi visitatori concerti cameristici di gran livello che si svolgono nella Sala dell'Ercole. Dal lucernario al parquet l'ampia sala sembra lo scrigno ovattato di opere d'arte convenute a mirarsi l'un l'altra nello specchio armonico del proprio esistere.
Quando ai piedi della imponente statua canoviana dell'Ercole un pianoforte canta, la magia avvolge gli ascoltatori in una ideale parabola rasserenatrice. Se il pianista si chiama Corrado Nicola de Bernart l'incanto è completo; l'interprete ha mani lunghe e sensibili, tocco profondo, tecnica d'artista. Il programma scelto ha un titolo subliminale "Un petit train de plaisir - Rossini e il pianoforte": sono pagine misconosciute del Rossini ultimo periodo, che compose per il suo salotto parigino brevi spartiti pianistici, lontani dal clamore romantico-wagneriano che dominava nei teatri d'epoca. Il compositore non pubblicò mai questi lavori, che riservava al piacere dei suoi amici, eseguendoli di persona. Con questi fogli d'album, dai titoli raffinati a quelli più semplicemente umoristici, il maestro de Bernart introduce gli spettatori in un mondo di sottili corrispondenze fra moti dell'animo e interrogativi eterni.
Stendhal chiamò Rossini il Voltaire della musica, nel senso che entrambi erano autori che si muovevano in punta di piedi fra la profondità della vita e lo stile leggero di una incredula atarassia. Schopenauer definì il cigno di Pesaro un musico d'avorio, mandarino dei suoni, satrapo delle biscrome, giocoliere del pentagramma.
Il pianista premette alle sue esecuzioni alcuni cenni storici per costruire insieme un cammino verso la giusta comprensione musicale. In tal modo, con grande sapienza intellettuale, de Bernart aiuta a far capire le immagini ricreate dalla sua valentìa interpretativa, il cui brillante dinamismo dà vita a un incontro fuori del tempo.
Ringrazio il professor Corrado Nicola de Bernart, presidente dell'Associazione Romana Amici della Musica, per l'ascolto inusuale.

Ayres Cenni

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I concerti domenicali alla GNAM diventano sempre più interessanti, vuoi per le opere trattate, vuoi per la bravura degli interpreti. Quello di domenica 20 marzo in particolare, nel quale il Maestro Corrado de Bernart ha trattato, con bravura pari alla signorilità, del "silenzio" rossiniano dopo il trionfo del Guglielmo Tell; certo, fu un silenzio "assordante" se si pensa che a quel periodo si debbono i bellissimi Péchés de Vieillesse di una modernità impessionante, ed alcune delle sue più belle opere religiose come lo Stabat Mater e soprattutto la Petite Messe Solennelle, ove si trovano richiami al cromatismo di Frank! E scusate se è poco!

Carlo Gabrielli

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La lingua italiana: Severgnini scopre l’acqua calda
di Paola Sereni

 

A proposito della lingua italiana e dei vari approcci scelti dalla stampa e dalle istituzioni per “salvare” questo o quello, si è letto in questi giorni un articoletto dell’editorialista del Corsera Beppe Severgnini. E’ il giornalista, per chi non se ne ricordi, che sul rapporto dell’italiano medio con lo straniero e in particolare sulla scarsa propensione degli italiani per l’inglese ha costruito la sua fortuna letteraria con varie opere, tra cui uno speciale manuale “L’inglese.
Lezioni semiserie” in cui si metteva a confronto la “vera” lingua inglese con le espressioni e pronunce finto-inglese di velleitari italiani, amanti quanto ignoranti della lingua britannica.
L’articolo ha il provocatorio titolo: “La difesa dell’italiano? Affidiamola agli emigrati”.
In effetti Severgnini individua nella diaspora degli emigrati italiani d.o.c., e nei loro comportamenti, che si presuppongono ispirati dalla nostalgia e dall’innamoramento dell’Italia, la salvezza della nostra lingua: imprese, uffici, emigrati all’estero con o senza antenati italiani sarebbero - se opportunamente coinvolti - risolutivi in questo senso. A proposito di burocrazia, enfatizza l’importanza e i doverosi condizionamenti di un fattore “casuale” di carattere storico-familiare: chi ha antenati italiani, non si limiti ad amare l’Italia, ma studi la lingua, soprattutto se pretende di ottenere il passaporto e la cittadinanza italiana. E i “cervelli” emigrati ci aiutino e si diano da fare con il loro prestigio e la loro lungimiranza...
Fin qui, se sono dichiarazioni di principio, si può essere d’accordo, ma c’è un fattore che sembra - nella migliore delle ipotesi - oltre che scontato, ingenuo, quando dice che bisogna utilizzare “aggressivamente” gli istituti italiani di cultura all’estero. Sulla cronica inadeguatezza dei nostri istituti di cultura all’estero si è tanto discusso e si continuerà a discutere fino a che mancherà la trasparenza e doverosa attenzione nelle nomine individuali e nelle risorse di cui dotarli.
Nessuno mette in dubbio la valenza teorica di tali Istituti: una corretta diffusione della lingua è un elemento rilevante - forse il più rilevante - dell’attività istituzionale e della loro stessa sopravvivenza.
Lo stesso Capo dello Stato ha enfatizzato in più di un’occasione la valenza di tali Istituti, un po’
lodando, un po’ stimolandone l’attività, ricordando anche lui il grande impulso dato rispettivamente alle tre lingue europee più comuni, dal British Council, l’Alliance Française e l’Istituto Cervantes e rammaricandosi che non vi fosse un’istituzione che potesse dare un analogo apporto all’italiano.
E mi sembra un po’ingenuo Severgnini che riporta le parole di Pia Luisa Bianco, attuale direttrice dell’Istituto di Bruxelles (già direttrice, dopo Feltri, del famigerato quotidiano L’Indipendente in voga negli anni ’90 negli ambienti leghisti) che ha “scoperto” che ci sono settori portanti dell’Europa dove si parla italiano: il design, la moda, la conservazione museale, il teatro lirico, la musica....
A proposito di musica, l’etimologia del nome del Segretario di Stato Condoleezza Rice, figlia di musicofili e appassionata di musica ella stessa -che sarebbe una contaminazione americana del “movimento” in musica “con-dolcezza”- ha insegnato anche al grosso pubblico che i movimenti musicali sono sempre stati denominati in italiano, mai tradotti...).
L’italiano -come dicevamo su queste pagine- è parlato in Europa in ambienti culturali e “di nicchia” ad alto livello, enclaves non comunicanti, ma la Bianco dà per scontato ciò che non lo è affatto dicendo che “non è una lingua di comunicazione internazionale così come lo sono francese, inglese e spagnolo”.
Passi per l’inglese e lo spagnolo che costituiscono la lingua madre per un numero altissimo di individui, a prescindere dalle caratteristiche intrinseche che ne favoriscono la diffusione, da prendere per esempio è la Francia, per cui la lingua nazionale è uno dei “beni culturali” da proteggere e valorizzare e che legifera e amministra strenuamente in difesa della sua lingua. Ed è qui la differenza: ad un Paese come il nostro, in cui per “miracolo” si è riusciti a bloccare la scriteriata, disonesta, criminale, ipotizzata estensione del silenzio-assenso della DIA al patrimonio di cultura “materiale” (archeologico, architettonico, paesaggistico) che avrebbe distrutto le tracce materiali della straordinaria vicenda storico-culturale dell’italica gente...cosa volete che importi la difesa di un bene immateriale che pure ne fa parte integrante e le cui vicende, dal latino, attraverso il vulgare e il Medioevo - come ci racconta Dario Fo, Premio Nobel 1997 per la letteratura - fino ai nostri giorni, hanno fatto parte della Storia dell’umanità!


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La ricerca dell’infinito
Acquerelli e disegni del Romanticismo tedesco e austriaco

Negli acquerelli e disegni le correnti culturali e filosofiche del Romanticismo hanno trovato la loro più sensibile espressione artistica. Ritratti, scene bibliche e allegoriche, e soprattutto i paesaggi rivelano una nuova concezione personale del mondo e della natura. La storia di numerosi artisti e delle opere esposte è strettamente intrecciata all’Italia: nel 1810 infatti i fondatori dell’associazione viennese antiaccademica „Lukasbund“, i futuri „nazareni“, tra cui Friedrich Overbeck (1779-1869) e Franz Pforr (1788-1812), si trasferirono a Roma nel convento di S. Isidoro. In seguito si aggiunsero a questo gruppo di amici artisti importanti come Peter Cornelius (1783-1867) e Joseph Fürich (1800-1876).

I temi trattati sono paesaggi, ritratti, scene religiose, soggetti tratti dalla letteratura, dalla storia, dalle fiabe e dalle saghe. In mostra opere di 23 artisti austriaci e tedeschi del Romanticismo e tardo Romanticismo. Pezzo forte della mostra il „Römische Porträtbuch“ [Ritratti romani] di Julius Schnorr von Carolsfeld (1794-1872). La raccolta di ritratti degli amici romani offre contemporaneamente al nostro sguardo alcuni dei più importanti intellettuali della Roma del 1820. Nella sezione „Paesaggi“ segnaliamo tra l’altro due precoci acquerelli di Joseph Anton Koch (1768-1839), il geniale ispiratore del disegno di paesaggio di epoca romantica. Il suo „Vietri sul golfo di Salerno“ è un’opera chiave che prelude ai suoi paesaggi eroici, mentre i disegni di Joseph Führich sono i più significativi della sezione religiosa.
Roma è l’ultima stazione della mostra, già apprezzata a Stendal, Koblenz, Bologna e Vienna.


Il paesaggio romantico
Il paesaggio come specchio di un ordine superiore


Più che per gli altri generi, il modello rappresentato da Joseph Anton Koch è stato fondamentale per il paesaggio “romantico”. Il suo ruolo di maestro e mentore delle generazioni che si sono susseguite a Roma è fuori discussione. Il suo influsso è stato determinante anche durante il periodo trascorso a Vienna dal 1812 al 1815, dove ha trasmesso importanti stimoli artistici a Ferdinand Olivier.
La concezione romantica del paesaggio non si ferma mai alla sola rappresentazione della realtà empirica. Mentre Koch nelle sue «vedute della natura» andava alla ricerca di una idealità superiore nello spirito di Poussin, l’urgenza del paesaggio cristiano-romantico era quella di rappresentare la natura come rifrazione dell’operare divino e come testimonianza dell’immanenza divina nel mondo. In questo senso il posto centrale spetta certamente a Ferdinand Olivier. I suoi paesaggi, con la loro “geometria” volta a suggerire un ordine superiore, e con il complesso sottofondo allegorico-cristiano che vi è sotteso, incarnano in modo esemplare il paesaggio sacrale auspicato da Friedrich Schlegel. Molto simile è la posizione sostenuta da Johann Christoph Erhard e August Heinrich. La loro concezione della natura è legata ad una grande sensibilità per la descrizione della realtà, ma dalla restituzione minuziosa dell’aspetto esteriore della natura traspare la nostalgia dell’infinito. In questi paesaggi non c’è, infatti, traccia di virtuosismi fine a se stessi. Si percepisce piuttosto uno sprofondare quasi religioso nel dettaglio. Il paesaggio inteso come allegoria della condizione umana ci viene, infine, presentato da Ludwig Richter, il quale spesso rievoca nei suoi disegni del paesaggio italiano anche l’idillio del locus amoenus.
Quanto sia ancora forte, nella seconda metà dell’800, una concezione del paesaggio profondamente debitrice al sentimento romantico dello sconfinamento, è dimostrato dagli studi paesaggistici - mirabili per la perfezione del disegno - di un allievo di Führich, Bonaventura Emler, il quale rinnova sia la tradizione del “paesaggio cosmico” quale specchio dell’armonia cosmica, sia “il paesaggio originale omerico” della Serpentara di Koch.

Scene bibliche, leggende di santi e allegoria religiosa
Scene religiose come allegoria della conditio humana

La storia religiosa del primo Romanticismo è caratterizzata il più delle volte dall’esperienziale soggettivizzazione di eterne verità salvifiche. Esperienze quotidiane, situazioni limite dell’umana condizione come l’abbandono e lo smarrimento, vengono trasposte e nella storia biblica e nella vita dei santi, e trovano così la loro sacrale, sublime formulazione. I ritratti a chiave - ad es. la fidanzata di Olivier nella scena della prima notte di nozze di Tobia e Sara – sono la spia più evidente che esiste questo nesso con la vita personale degli artisti. Scheffer identificò la defunta Santa Cecilia con Cäcilia Bontzak, da lui adorata. Un chiaro esempio di proiezione dell’umano desiderio d’amore in una storia religiosa. Il binomio romantico di amore e morte, che solo può portare a vero compimento l’amore terreno, ha un ruolo centrale in entrambi gli esempi. Agar cacciata e al limite della disperazione e salvata miracolosamente dall’intervento di Dio, diventa l’immagine originaria della situazione esistenziale dell’artista romantico. Ma le rappresentazioni bibliche contengono anche riferimenti rivoluzionari ai fatti dell’epoca. La parabola delle spighe, illustrata da Schnorr, è un complesso manifesto allegorico delle posizioni dei confratelli di San Luca contro l’Accademia di Vienna, da loro violentemente contestata. Entrambi i partiti sono rappresentati sotto le mentite spoglie di figure bibliche – i confratelli di San Luca nelle vesti degli apostoli di Cristo, gli “accademici” in quelle dei farisei. Nel tardo Romanticismo questo aspetto rivoluzionario si trasformerà nell’atto di fede genuinamente messianico dell’artista che lavora e crea sulla spinta di un profondo sentimento religioso. Steinle, Kupelwieser e Joseph Führich – la figura più significativa – rappresentano in modo esemplare l’idea dell’artista messaggero delle divine verità cristiane; talvolta ricorrendo ad una retorica un po’ barocca, ma avvalendosi anche di strutture narrative assai innovative. Steinle, dal canto suo, nell’opera che raffigura la prima coppia del genere umano, fa di Eva, dopo il peccato originale, il prototipo della “femme fatale”.


I ritratti
Il volto umano come immagine di Dio

La ritrattistica romantica nasce da un rapporto personale e affettivo. Non si esaurisce però nella pura descrizione dell’aspetto esteriore o dell’interiorità del soggetto raffigurato. La serie di ritratti ad opera di Julius Schnorr, in particolare, incarnano in modo esemplare l’idea della sostanza etica dell’uomo – tipica della tradizione umanistica – in stretta connessione con la storia biblica della creazione che vede nell’uomo l’immagine di Dio. Si ispira all’arte del Rinascimento la “solenne dignità” del “Libro dei ritratti romani” di Schnorr, i cui ritratti degli amici - una serie in sé conclusa – sono un sublime esempio di idealizzazione del volto umano che si esprime a livello formale nella stereometria dei busti e nella fisiognomica delle singole figure. È sorprendente la coincidenza della descrizione minuziosa dell’aspetto esteriore e dello stato psichico con la sublime, quasi sacrale etica dell’umano. Con riferimento alle numerose testimonianze scritte dell’artista, possiamo dire che Schnorr ha tentato per tutta la vita di realizzare questo nobile programma. I ritratti di Schnorr si concentrano esclusivamente sull’aspetto umano – ogni attributo ulteriore è eliminato in quanto non essenziale.
L’autoritratto di Scheffer davanti al cavalletto, invece, è un esempio di un secondo tipo di ritratto romantico, in cui l’immagine, arricchita da diversi attributi, diventa allegorica e, mediante complesse allusioni, arriva a raffigurare l’artista come messaggero di verità trascendenti. Grazioso solo in apparenza, il motivo schefferiano dei tre bambini con il trifoglio veicola ideali rivoluzionari ed è quasi un manifesto politico. Un’opera come questa sottolinea una volta di più che “lo smarrimento esistenziale” dei romantici spesso è un fatto solo apparente, dato che molti hanno preso attivamente parte alle guerre di liberazione contro Napoleone (i corpi franchi di Lützow).
La ritrattistica di Friedrich Nerly rappresenta, in modo qualitativamente ineccepibile, lo sciogliersi del ritratto romantico nella restituzione dell’attimo che passa. Kupelwieser, dal canto suo, mette il ritratto al servizio della propaganda monastica rinnovando così la tradizione dell’iconografia barocca.

Letteratura, storia, fiabe e leggende
Forme della riflessione sull’amore, sulla morte e sulla solitudine

Nell’ambito dei temi letterari – come, peraltro, nell’ambito del paesaggio – Joseph Anton Koch assolve un importante ruolo di mediatore. Le sue illustrazioni della Divina Commedia dantesca e dei Canti di Ossian del poeta scozzese Macpherson - due opere letterarie centrali sia per Koch sia per il Romanticismo tutto - segnano, infatti, l’inizio di questo filone tematico. Entrambi i testi contengono una serie di topoi tipicamente “romantici”, come, ad es., amore e morte (Paolo e Francesca), oppure il tema della disperazione che sconfina nella follia (Ugolino), o quello dell’esistenza umana consegnata a se stessa, alla solitudine e alla riflessione (Clessàmmor). Le interpretazioni di Koch si sono conquistate una posizione chiave nella visione “romantica” di quelle opere letterarie, anche se successive generazioni di artisti si sono confrontate con quei testi in modo del tutto personale. Per esempio, Bonaventura Emler ambienta la scena del canto di Sulmalla, tratta dall’Ossian, in un paesaggio costiero notturno potenziando in questo modo il contenuto romantico del racconto. Significativo esempio di concezione nazarena, Johann Evangelist Scheffer von Leonhardshoff nel rielaborare il motivo di Ugolino, significativamente non descrive la disperazione del conte, bensì la sua docile rassegnazione al destino. Le fondamentali esperienze dell’esistenza umana, come già era accaduto per le scene bibliche, vengono espresse utilizzando immagini tratte dalla letteratura, dalla storia, dalle fiabe e dalle saghe.
La storia è dominata dalla nostalgia per un Medioevo romanticamente trasfigurato – spesso strumentalizzato in chiave di propaganda politica storicamente legittimata (Julius Schnorr, “Il corpo di Federico Barbarossa recuperato dal fiume Kalykadnos”; Schwind, “L’Imperatore Massimiliano I sulla Martinswand”). Nel corso del secolo l’uso dell’immagine sacra nella raffigurazione di soggetti storici entra in crescente conflitto con la richiesta di una dettagliata autenticità – cosa che accade anche negli studi storici che tendono sempre di più ad analizzare in modo critico le fonti. La trasfigurazione del Medioevo viene resa anche attraverso immagini accostate con grande libertà in modo da evocare l’agognata unità di arte e vita (Ludwig Ferdinand Schnorr, “Cavaliere e suonatore davanti ad un castello” ; Schwind, “Il cavaliere e il menestrello”).
La modalità dell’arabesco romantico moltiplica e potenzia l’immagine centrale, intorno alla quale si dispongono le variazioni sul tema, le analogie o anche sequenze narrative autonome (Dobyaschofsky, “La fiaba dei sette corvi”). Ispirato alle illustrazioni di Dürer per il libro di preghiera dell’imperatore Massimiliano I (litografate nel 1801 da Strixner), l’arabesco è la forma narrativa più importante e caratteristica dell’800, cui si affianca un’altra importante modalità: la tendenza a collocare le singole immagini all’interno di un ciclo di illustrazioni.

Una mostra del Kupferstichkabinett
der Akademie der bildenden Künste di Vienna in collaborazione con la
Casa di Goethe e il Forum Austriaco di Cultura Roma

Con il patrocino di Michael H. Gerdts,
Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania
e Alfons Kloss, Ambasciatore d’Austria

Curatrice della mostra: Cornelia Reiter

 

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La lingua italiana non ha bisogno di essere amata ma rispettata… e soprattutto dagli italiani
di Paola Sereni

L’italiano non è più una lingua stabile dell’Unione europea, al pari dell’inglese, francese e tedesco. Ovviamente i giornali hanno riportato la notizia enfatizzando il valore politico dell’esclusione. Certamente è una discrasia patente il fatto che l’Italia, uno dei paesi fondatori e quindi teoricamente comprimari dell’Unione, che ha saputo elevarsi e sistemizzare i propri squilibri economici traballanti in nome della partecipazione all’Unione europea, venga ora ad assumere un ruolo gerarchicamente subordinato al ristretto gruppo di Stati che si sono assunti di fatto un ruolo di guida. Insomma l’esclusione della lingua italiana dal novero di quelle “organiche” all’Unione rischia di diventare simbolica proprio di un consolidamento nello scenario politico europeo dell’esistenza di una gerarchia di Stati che era fin dall’inizio ben radicata.
Che questo sia successo per mille motivi e che non sia altro che un corollario riguardo al ruolo complessivo dell’Italia nell’Unione e alla politica schizofrenica che da una parte guarda all’Europa e quando invece “fa comodo” al governo nei suoi fin troppo “perscrutabili motivi” guarda oltreoceano, è evidente. Come pure è evidente che in questo come in tutti i settori della vita pubblica il governo detta slogan programmatici e smaccatamente pragmatici (ricordate le tre “i” delle campagne elettorali berlusconiane, Inglese, Impresa, Internet?) che fanno presa ma si evitano i discorsi più complessi perché poco redditizi sul piano elettorale.
Il problema vero è che tutte le vicende legate alla lingua, comprese quelle – poche – positive sono subite, ma mai “cavalcate”. La situazione disastrosa dei nostri istituti italiani di cultura all’estero è ben nota ma la Farnesina è ben lungi dal tener conto delle vicende legate alla lingua e porsi il problema di incrementare le risorse in maniera significativa o assicurare che i rappresentanti italiani ivi preposti abbiano un indiscusso prestigio personale internazionale che dia agli istituti una garanzia di serietà, ma anche di efficienza e di rispetto.
In questi giorni, sull’onda recriminatoria e polemica sollevata dalla decisione dell’Unione Europea di instaurare un regime trilingue di fatto nelle conferenze tenute dai Commissari, il CNR si è scosso e si sta facendo promotore della valorizzazione dell’identità linguistica e culturale italiana, enfatizzandone il ruolo indiscusso di fattore di integrazione: è uscita su qualche quotidiano di oggi (23 febbraio) la notizia che il CNR finanzierà ben 139 progetti di ricerca in proposito e pare che vi sia coinvolto in qualche modo il Ministero delle Attività Culturali e l’Accademia della Crusca..
E’ noto comunque in proposito che le istituzioni preposte alla tutela e valorizzazione della lingua vivono e si rinnovano soprattutto grazie alla passione dei titolari e degli studiosi, essendo la povertà di risorse in queste istituzioni un fatto storico e ormai endemico.
Ci si accorge solo rispetto a speciali eventi mediatici che anche la lingua italiana fa parte della straordinaria vicenda storico-culturale del nostro Paese. Quando Benigni recita la Divina Commedia - che pure fa parte del nostro bagaglio scolastico di base -, è come se la si “rilanciasse”, riscoprendo uno straordinario momento della nostra lingua, quello in cui veniva "di-vulgata" attribuendole un respiro più ampio, nell’ambito di una poetica universale, anzi "sovrauniversale", dato che era parlata dalle nostre anime.
La nostra lingua non ha bisogno di essere spettacolarizzata per essere apprezzata, né deve avviarsi ad essere soltanto amata come “reperto”. Noi l’abbiamo già nel nostro DNA culturale una lingua universale, “morta”: il latino, che dal medioevo si è evoluto come sappiamo. Ora non facciamoci fuorviare da studiosi e stranieri che amano la nostra lingua per il suo contenuto “culturale”, quasi fosse un riflesso dovuto al nostro straordinario patrimonio architettonico e artistico. La lingua è soprattutto un mezzo per esprimerci e la nostra lingua ha, al pari delle lingue più evolute, una straordinaria gamma di sfumature, che, come tutti, utilizziamo al meglio quando è la nostra lingua madre e delle quali perciò non dobbiamo doverne fare a meno
Abbiamo già scritto in queste pagine web che la lingua italiana ha una “straordinaria” diffusione nel web rispetto alle altre lingue che vi sono presenti con percentuali dovute soprattutto alla loro diffusione nei Paesi in cui sono lingua-madre, a parte l’ovvia diffusione dell’inglese - lingua ufficiale - . Però sappiamo pure che l’uso, anzi lo straordinario uso della lingua italiana nel web, soprattutto nei siti culturali, rischia di essere relegato in una enclave aristocratica e nostalgica, ad uso e consumo, seppur nobile, degli stranieri europei più colti quasi in un riflusso delle pulsioni e istanze del Grand Tour. E’ invece una lingua viva, molto duttile e molto ricettiva di espressioni prese da altre lingue, soprattutto, quasi paradossalmente, francesismi e anglismi, il che non è la sua debolezza ma la sua forza se i lemmi che via via diventano di uso comune, riescono ad ampliarla e renderla sempre più aderente alla realtà sociale, non ad estraniarla da se stessa.

Sull'argomento segnaliamo un interessante articolo su "La lingua della politica italiana dal 1994 al 2004" disponibile sul sito della Treccani

 

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Shelley, l’ateismo e... l’inventore della carta carbone

E’ successo a Londra in questi mesi. Tutto comincia quando due anziani fratelli di 88 e 91 anni muoiono e lasciano in eredità ai loro generosi vicini, che li hanno accuditi fino alla fine, la loro casa e tutto ciò che contiene. Nessuno avrebbe mai immaginato che la loro eredità contenesse un piccolo tesoro.
Tra polverosi scaffali e scatole sono infatti saltate fuori alcune lettere di Percy Bysshe Shelley, il famoso poeta inglese dell’800, e preziose prime edizioni di Charles Dickens e HG Wells.
Così le lettere di Shelley saranno il lotto più importante di un’asta che terrà Christie’s la prossima estate per un valore totale che si aggira tra i 30-40 mila euro.
Le quattro lettere sono particolarmente preziose perché risalgono al periodo tra il dicembre del 1810 e il febbraio 1811, poco prima che Shelley venisse espulso da Oxford per aver pubblicato un opuscolo intitolato La necessità dell’ateismo, ed erano indirizzate a Ralph Wedgewood, passato alla storia per essere l’inventore della carta carbone.
Il poeta scriveva al “papà del duplicato cartaceo”: “Cristo non è mai esistito. La caduta dell’uomo e l’intero tessuto della superstizione non possono più ottenere il credito dei filosofi”.

da: La Repubblica, Cultura, venerdi 25 febbraio 05


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American Academy in Rome
Keats-Shelley House
St. Paul’s Within-the-Walls
Museo Hendrik Christian Andersen

INCANTATI DA ROMA / SPELLBOUND BY ROME


La comunità anglo-americana a Roma, 1890-1914, e la fondazione della Keats-Shelley House / The Anglo-American community in Rome, 1890-1914, and the founding of the Keats-Shelley House
16 febbraio – 16 aprile 2005


La mostra, nata per iniziativa dell’American Academy in Rome e della Keats-Shelley House, vuole celebrare il centenario della fondazione del museo della Keats-Shelley House, avvenuta nella prima decade del secolo scorso, grazie all’impegno del poeta americano Robert Underwood Johnson con l’aiuto del diplomatico e poeta inglese James Rennell Rodd e di H. Nelson Gay, diplomatico e storico americano. L’edificio in piazza di Spagna, dove il poeta John Keats morì di tisi nel 1821, fu acquistato dalla Keats-Shelley Memorial Association nel 1906 e inaugurato come museo dal re Vittorio Emanuele III nel 1909. Da allora, esso costituisce un polo di attrazione non soltanto per gli studiosi e i cultori dei poeti romantici inglesi e dei loro legami con l’Italia, ma anche per i semplici turisti.
Con questa mostra gli organizzatori hanno dunque inteso focalizzare l’attenzione sulla variegata comunità intellettuale di artisti, letterari e collezionisti inglesi e americani che vissero o transitarono a Roma, giovane capitale d’Italia, tra l’ultimo decennio del secolo XIX e il primo del XX, immediatamente a ridosso della prima guerra mondiale. In essa figurano scrittori quali F.Marion Crawford, Henry James, Rudyard Kipling, Edith Wharton; inoltre artisti quali George William Breck, Moses Ezekiel, Frederic Crowninshield, Hendrik C.Andersen, Paul Manship, Augustus Saint-Gaudens, Elihu Vedder. E, accanto a questi, gli amici artisti italiani quali Enrico Coleman, Nino Costa, Adolfo de Carolis e altri.
Se il fulcro della mostra sarà nel bell’edificio novecentesco dell’ American Academy in Rome di via Angelo Masina al Gianicolo, il percorso complessivo dell’iniziativa comprenderà la Keats-Shelley House, la Chiesa Americana di St. Paul in via Nazionale e il Museo Hendrik C.Andersen in via P.S. Mancini al quartiere Flaminio. L’itinerario si completerà con la segnalazione di tutti quei luoghi della città che furono punti di ritrovo della comunità anglo-americana e dei loro amici a Roma, dalla All Saints Church in via del Babuino al Tea-room Babington in piazza di Spagna, dal Caffè Greco in via Condotti agli studi di via Margutta, dal Grand Hotel di via Vittorio Emanuele Orlando al Cimitero Acattolico del Testaccio.
Il catalogo della mostra, edito da Palombi, contiene saggi di Christina Huemer, Catherine Payling, Anna Bruno, Frank Dabell, Gertrude Wilmers, Sarah Moore, Regina Soria, Elena di Majo.


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L’American Academy in Rome fu fondata dall’architetto Charles Follen McKim nel 1894 e trasferita sulla collina del Gianicolo nel 1913. Di fatto, la sua prima storia coincide con il periodo della mostra e l’edificio stesso – opera degli architetti Mc Kim, Mead & White – ne fa parte integrante. Sono esposti in mostra dipinti dei primi due direttori dell’Accademia - George Willam Breck e Frederick Crowninshield, ambedue noti per i loro contributi al “Rinascimento Americano” - come pure alcuni dipinti di Elihu Vedder, grande amico dell’Accademia nei suoi primi anni, e di altri artisti loro contemporanei, sia italiani che inglesi. Ai dipinti e ai disegni si aggiungono opere di arte decorativa, come un grande candelabro in bronzo disegnato per la Biblioteca dell’Accademia da Gorham Phillip Stevens e targhe commemorative di Augustus Saint-Gaudens e Paul Manship. Completa il percorso espositivo una sezione sulla committenza e sui ‘conoscitori’, rappresentati da personaggi quali J.Pierpoint Morgan (patrono sia dell’Accademia Americana che della Chiesa di St.Paul) e Richard Norton (direttore della Scuola Americana di Studi Classici dal 1899 al 1907 e collezionista di antichità, ora nelle collezioni dell’Accademia stessa).

Nella Keats-Shelley House si presentano gli aspetti piu’ letterari della mostra, ma anche alcune importanti opere d’arte del periodo preso in esame. Fra queste, il busto-ritratto in marmo di Shelley eseguito da Moses Ezekiel, importante scultore americano espatriato a Roma. Sono anche esposti documenti relativi alla fondazione del Museo, come la lettera autografa del Presidente Theodore Roosevelt (1906) e le lettere dei poeti americani amanti del Romanticismo. La Keats-Shelley House è anche la sede propria per mostrare le illustrazioni dei libri del periodo, come quelle eseguite da Maxfield Parrish per le Italian Villas and their Gardens di Edith Wharton (1904)

Nella chiesa americana di St.Paul’s Within-the-Walls possono ammirarsi due importanti opere monumentali in mosaico dei primi anni del XX secolo: nella parte inferiore dell’abside, i mosaici di Thomas Rooke, assistente di studio di Sir Edward Burne-Jones; sulla facciata e la contro-facciata, i mosaici di George W. Breck, americano. La mostra all’interno della Chiesa presenta i disegni preparatori per questi mosaici, alcuni dei quali di proprietà della Chiesa e altri provenienti da collezioni private romane. Sono inoltre in mostra opere d’arte raccolte dal rev. Robert Jenkins Nevin, rettore della Chiesa dal 1869 al 1906 nonchè autorevole collezionista.

Nella sezione della mostra presso il Museo Hendrik C. Andersen si presentano esclusivamente materiali facenti parte delle collezioni del Museo, il quale di per sè costituisce un capitolo molto significativo della comunità anglo-americana a Roma tra fine Otto e primi decenni del Novecento. Nei due vasti atelier al piano terra dell’edificio, fatto edificare dallo stesso Andersen (Bergen, 1872 – Roma, 1940) tra il 1922 e il 1924 come suo studio-abitazione, sono collocati in permanenza i grandi disegni e le sculture monumentali dell’artista relativi al suo visionario progetto di ‘Città mondiale’, progetto che nel suo complesso rappresenta un esito di straordinario interesse nel panorama culturale di quegli anni, soprattutto in quanto frutto dell’utopia di un artista americano a contatto con la storia e la tradizione dell’Europa. Al primo piano, già abitazione di Andersen e della sua famiglia, sono invece esposti quei materiali (sculture, dipinti, disegni) piu’ strettamente relativi alle frequentazioni dell’artista (v. immagine sopra), e selezionati in base al taglio cronologico della mostra stessa. Fotografie, libri e documenti illustrano inoltre il suo lavoro, la sua vita quotidiana, le sue letture.

American Academy in Rome (via Angelo Masina, 5), da martedì a sabato, 16.00 – 19.00
Keats-Shelley House (piazza di Spagna, 26), da lunedì a venerdì, 9.00-13.00, 15.00-18.00; sabato 11.00-14.00, 15.00-18.00
St. Paul’s Within-the-Walls (via Napoli, 58): da lunedì a venerdì, 9.00-16.00
Museo Hendrik Christian Andersen (via P. Stanislao Mancini, 20): da martedì a domenica, 9.00-19.30 (ingressofino alle 19.00), tel.06.3219089/32298302,
edimajo.gnam@arti.beniculturali.it


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Incisioni pittoriche di vedute italiane
Acqueforti di Johann Christian Reinhart, Jacob Wilhelm Mechau e Christoph Albert Dies

di Caterina Pellitta

Nella mostra “Mahlerisch radirte Prospecte von Italien” (Incisioni pittoriche di vedute italiane) la Casa di Goethe mostra al pubblico romano il recente acquisto di una cartella di 72 opere che porta il medesimo nome della mostra. Le incisioni, esposte dal 3.2 al 6.3.2005 alla Casa di Goethe, sono il frutto di un progetto ideato e realizzato dall’artista tedesco Johann Christian Reinhart date (1761-1847) con la collaborazione di altri due importanti nomi del panorama artistico tedesco come Jacob Wilhelm Mechau (1745-1800) e Christoph Albert Dies (1755-1822).
Tra il 1790 ed il 1798, anni in cui la Città Eterna diede loro ospitalità, i tre incidono ognuno 24 acqueforti raffiguranti paesaggi di Roma e i dintorni. L’intera opera viene pubblicata nel 1798 presso la casa editrice Frauenholz di Norimberga con un ordine che non rispetta la cronologia delle opere bensì la loro “topografia”: si parte dal centro di Roma per arrivare alla periferia. Proprio questo è l’ordine ricostituito nell’allestimento delle sale che accolgono le incisioni della casa goethiana.

Osservando queste acqueforti non si può fare a meno di notare le differenze rispetto alle incisioni di paesaggi e vedute soprattutto romane di quel periodo: qui a prevalere è la resa pittorica dell’incisione, il paesaggio e la natura che invade le rovine rendendole con un senso già preromantico.
E l’evidente intenzione artistica piuttosto che didascalica nella resa del paesaggio si manifesta in alcune delle incisioni con la raffigurazione degli stessi pittori nel loro atto di ritrarre quei posti. Ciò è anche presente nella raffigurazione, all’interno di quei paesaggi, di scene di vita quotidiana - che oserei definire “drammatizzata” - come il combattimento di due uomini sotto gli occhi sconvolti di una popolana o i giochi dolcissimi di una madre con i suoi piccoli bimbi.
All’osservatore sembrerà così di penetrare in una realtà non più fredda e distaccata, simile a quella di molte vedute dei paesaggisti dell’epoca, ma in un mondo nuovo e fascinoso, per perdersi nei sentieri incontaminati della campagna romana settecentesca che portano verso ripide cascate o sotto le fronde ombrose dei tanti alberi che, come le rocce, gli animali e le luci quotidiane, affollano queste acqueforti.
Tutto ciò è poi reso ancora più piacevole, agli occhi del visitatore di questa particolarissima mostra, oltre che da alcuni disegni preparatori che pure sono esposti, dalle piccole variazioni di stile che si possono cogliere tra i tre artisti nella pur omogeneità di base delle incisioni che rendono la serie una delle più alte espressioni grafiche dell’epoca di Goethe (nella cui dimora romana è giusto che ora trovino collocazione).

Gli artisti

Johann Christian Reinhart nasce nel 1761 a Hof. Studia teologia a Lipsia e prende lezioni dall’insegnante di disegno di Goethe, Adam Friedrich Oeser. Nel 1789 giunge a Roma dove vive e lavora come acquafortista, disegnatore e pittore fino al 1847, anno della morte. Influenzato da Jakob Philipp Hackert, è accolto più tardi nella cerchia di Jakob Asmus Carstens del quale segue le orme come anche quelle di Joseph Anton Koch; godrà per tutta la vita dell’apprezzamento dei Deutschrömer. Dopo il matrimonio con una romana, avvenuto nel 1800, l’Italia diviene per lui una vera e propria seconda patria. Intrattiene una corrispondenza con Friedrich Schiller e Wilhelm von Humboldt. È proprio nelle sue acqueforti che si rintraccia il suo ideale di idillio paesaggistico. Il progetto delle “Mahlerisch radirten Prospecte von Italien”, nel quale riuscì a coinvolgere Albert Christoph Dies e Jacob Wilhelm Mechau, si deve al suo entusiasmo per le bellezze paesaggistiche dei dintorni di Roma.

Jacob Wilhelm Mechau nasce a Lipsia nel 1745. Studia anch’egli pittura e tecnica dell’acquaforte con Oeser, che, tra gli altri, gli fa conoscere Reinhart. È allievo di Rode a Berlino. Seguono poi soggiorni a Lipsia e Dresda dove realizza le sue prime opere. Nel 1776, grazie ad uno stipendio offertogli dal duca di Sassonia, Mechau si reca a Roma, dove lavorerà per quattro anni come paesaggista, dedicandosi innanzitutto al paesaggio eroico. Nel 1790, dopo dieci anni di permanenza a Dresda, dove cerca invano di ottenere un impiego fisso presso l’Accademia, ritorna a Roma dove verrà accolto nella cerchia degli amici di Reinhart. Realizzerà le sue ventiquattro incisioni delle “Prospecte” negli anni tra il 1792 e il 1795. Tre anni dopo le mutate condizioni politiche costringono Mechau a lasciare l’Italia.

Albert Christoph Dies nasce nel 1755 ad Hannover. Dopo un apprendistato e un breve soggiorno presso l’Accademia di Düsseldorf, raggiunge Roma nel 1775. Nella città eterna si mantiene a fatica, dipingendo paesaggi, profittando occasionalmente dell’aiuto di Piranesi e del mecenate Lord Bristol. Studia la natura dei colli Albani e di Tivoli; si reca a Napoli due volte. Negli ultimi dieci anni del suo soggiorno romano, vive con l’archeologo Hirt, che nell’estate del 1787 gli fa conoscere Goethe. Per il poeta colorerà uno dei suoi disegni. La partecipazione al progetto delle “Incisioni pittoriche” può essere considerato l’apice dell’opera artistica di Dies, sebbene i contemporanei criticarono la sua fedeltà al dettaglio naturalistico che differenziava le sue incisioni da quelle di Mechau e Reinhart. Dopo il lungo soggiorno italiano, da 1796 vive a Vienna, dove morirà nel 1822. L’ultimo incarico sarà la direzione della Galleria del principe Esterhàzy. Nella capitale austriaca scrive anche una biografia di Joseph Hayden.

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L'Home Banking...
questa sconosciuta

di Rita Crisante

L’home banking (o e-banking) non è un mostro a tre teste, non è un terrorista, non è un pericolo per il focolare domestico. L'home banking non è un ordigno nucleare e non ci vuole una laurea in ingegneria per utilizzarla. Chiunque sappia controllare la propria casella di posta e-mail, sa anche utilizzare la home banking: infatti la procedura non è affatto dissimile e non solo ti permette di evitare file agli sportelli e risparmiare soldi sulle operazioni, ma ti permette anche di agire sul tuo conto se sei fisicamente lontano dalla tua banca, come durante un viaggio o una vacanza (anche all'estero). Dunque tranquillizziamoci, l'home banking è una grande comodità è un'occasione di risparmiare tempo e denaro.
Nell’ultimo periodo perfino noi sembriamo accorgercene, infatti diminuisce sensibilmente il gap che divide l’Italia dal resto dell’Europa, dove il tasso di penetrazione dell’e-banking era quasi il doppio di quello Italiano.

Secondo le previsioni dell’ultima rilevazione del Kmpg Business Advisory Service basate sul tasso di crescita, il tasso di sviluppo dei conti bancari online in Italia è previsto nell’ordine del 25 – 30 % di qui alla fine del 2006. Sono 7,5 milioni i conti online aperti dagli italiani alla fine del 2004; di questi conti i 2/3 sono “conti unici” cioè conti bancari accessibili soltanto da Internet, mentre circa 2 milioni sono conti complementari a quelli tradizionali in cui il cliente opera recandosi fisicamente presso lo sportello della propria filiale: di questi la maggior parte ancora sono stati attivati ma per la maggior parte sono quasi inutilizzati, anche se l’incremento del tasso di frequenza è costante e in misura esponenziale (il 19 %).
In realtà uno dei maggiori fattori di questa crescita è la politica aziendale delle banche, soprattutto di quelle maggiori che un po’ per l’aumentare dei costi di un conto tradizionale un po’ essendo “obbligate” dal diffondersi degli sportelli online, incentivano la propria clientela al conto online.
Quanto ai collegamenti ad Internet, la stragrande maggioranza degli utenti (88%) si limita alla consultazione del proprio conto, il 65% effettua bonifici e (piccoli) pagamenti e tra questi uno dei comportamenti più diffusi è la ricarica dei cellulari. Le banche incentivano questo servizio che non è redditizio di per sé, perché gli importi sono modesti, ma fidelizzano il cliente, per i quali sarebbe molto oneroso e scomodo andare allo sportello. Inoltre la banca “educa” una nuova generazione di utenti che, abituati ad identificare il servizio bancario con lo sportello, cominciano ad accettare che lo sportello fisico e l’impiegato sono soltanto una delle “forme” della banca, e che il servizio può essere più efficiente (e con maggior comfort) anche senza il rapporto fisico con il luogo.
E’ indubbio che -da parte dell’utente- consultare il proprio conto online con la dovuta calma da casa o dal luogo di lavoro è molto più gradevole, rispetto a richiederlo all’impiegato allo sportello (sono sempre di più le banche che l’e/conto richiesto allo sportello lo fanno pagare) o a chiederlo al bancomat con la fila di persone dietro che aspetta (e con il rischio che anche la tessera bancomat si smagnetizzi e ci abbandoni sul più bello!), il cellulare che squilla e la fretta di concludere la transazione senza quei piccoli inconvenienti che spesso succedono. E’ possibile, inoltre, pagare le bollette, richiedere i libretti di assegni e controllare lo stato di ogni assegno, prenotare valuta estera, traveller chèque, assegni circolari, visualizzare gli estratti conto delle carte di credito, analizzare saldo e movimenti, richiedere l’aumento del fido, monitorare lo stato dei finanziamenti. Tutto ciò però quando il PC viene veramente vissuto come “erogatore di servizi” con cui si ha una discreta familiarità e quindi può diventare una piacevole abitudine anche per l’utente.
La riservatezza dei clienti è protetta dalle migliori soluzioni tecnologiche e sistemi di salvaguardia su vari livelli. Basta seguire alcuni accorgimenti per scegliere la password per entrare nello sportello bancario e memorizzarla senza doverla scrivere qua e là, ma sono gli stessi accorgimenti da mettere in conto per tutte le password (o le combinazioni delle casseforti o delle valigie ecc.). Se poi si vogliono fare bonifici, c’è una “password dispositiva” inviata dalla banca al singolo utente da immettere nel PC, cosicché il bonifico ha tre “filtri” che si combinano insieme, per dare il massimo grado di segretezza e efficienza all’operazione: il codice cliente, il codice segreto di ciascun cliente e la password dispositiva.


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Ricerca scientifica e nuove tecnologie:
Bill Gates compra le uova e Trento si tiene la gallina.

 
Domanda: è meglio un uovo oggi o una gallina domani? Secondo la Provincia Autonoma di Trento è meglio una gallina domani… e i fatti sembrano darle ragione.
Così, mentre l’Italia si affanna a far quadrare i suoi bilanci, e la parola “taglio dei costi” echeggia un po’ ovunque, partendo dal taglio degli investimenti alla ricerca scientifica (cosa che sta facendo collassare gli atenei), e le autostrade si trasformano in chilometriche piste da sci per la strana novità che d’inverno nevica, arriva in questi giorni nel nostro paese Bill Gates, presidente e fondatore della Microsoft (sì, proprio quella che produce il sistema operativo -di gran lunga più diffuso- dei nostri Pc) per investire a Trento molti soldi. Precisamente: 15 milioni di euro.
Ma cosa abbiamo da vendere a uno come lui? La risposta è semplice e neanche tanto nuova: cervelli. In Europa, secondo il presidente della Microsoft, c’è la maggiore concentrazione di scienziati con le caratteristiche giuste per le sfide del futuro. E il primo gruppo di cervelli che godrà di questo finanziamento e del relativo supporto logistico sarà l’Università di Trento, che secondo una ricerca dell’Ocse ospita i migliori matematici al mondo. Forse che l’aria del Trentino favorisca un’intelligenza matematica? No, “il genio trentino” dice Marco Andreatta, preside della facoltà di Scienze “ qui non c'entra nulla. Il nostro è un polo di ricerca riconosciuto a livello internazionale, ma il 90 % dei docenti non è trentino.” Semplicemente la Regione ha investito in questo settore, e ora, provincialismo a parte, l’investimento dà i suoi frutti. Notizia confortante, dopo aver dovuto leggere su tutti i giornali che - secondo Harvard, portavoce delle mitiche Università americane - gli atenei italiani sono -secondo i loro più o meno opinabili parametri- agli ultimi posti della classifica mondiale.
A Trento la ricerca e il relativo finanziamento verterà intorno al genoma. Nel prossimo futuro si cercherà di determinare, ad esempio, gli effetti dei farmaci sugli individui grazie al profilo genomico di ciascuno. Ma la cosa più interessante è che si calcola che questi studi di bio-info-nano-tecnologie porteranno in 5 anni 100 milioni di nuovi posti di lavoro. Speriamo molti in Italia.
Morale della favola: a investire sui nostri cervelli si riesce a vendere le idee, e non i cervelli… c’è da meditare per altri atenei italiani troppo spesso preoccupati a vendere la gallina per un uovo oggi.

Fonte: Corriere della Sera, del 03/02/05, p. 22


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Morandi e Firenze
I suoi amici, critici e collezionisti
di Isabella La Costa*

“Delle città visitate per studiare la mia arte, quella che più mi attira è Firenze dove ritrovo i sommi ed ove conto amici a cui mi lega una certa affinità spirituale”.
Così Giorgio Morandi descriveva nel 1928 il suo simbiotico legame con Firenze, dove dal 20 gennaio sarà possibile visitare una piccola ma interessantissima mostra dedicata al pittore morto ormai quarant'anni fa. Significativo è anche il luogo che ospiterà l'esposizione: quella Fondazione che il celeberrimo critico d'arte Roberto Longhi, fra i primi e più entusiasti sostenitori di Morandi, volle istituire con legato testamentario "per vantaggio delle giovani generazioni" nella villa un tempo appartenuta all'umanista Cristoforo Landino —il maestro di Lorenzo il Magnifico, di Marsilio Ficino e di Agnolo Poliziano— e che fu la sua dimora dal 1939.
Alla notizia della morte di Morandi, Longhi pubblicò un intenso saggio che ne celebrava il talento con profetica consapevolezza del ruolo di protagonista da lui svolto nell'ambito dell'arte contemporanea italiana. Tale commosso apprezzamento si concretizza oggi nella scelta di esporre le dieci tele che costituivano il nucleo della raccolta privata di Longhi e della moglie, la scrittrice e storica dell'arte Anna Banti, assieme alle altre opere (quadri, incisioni, acquerelli, disegni) che Morandi stesso, con la sua "gelosa cura" nella scelta del destinatario, aveva regalato agli amici, ai critici e ai collezionisti residenti a Firenze. La provenienza dei pezzi in mostra, dunque, comprende le raccolte di Carlo Ludovico Ragghianti e della moglie Licia Collobi, di Alberto della Ragione, Giovanni Spadolini, Maria Luigia Guaita Vallecchi, Mina Gregori, Giuseppe e Adelia Noferi. Sono inoltre presenti un raro disegno risalente al 1929 donato da Morandi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, due significative acqueforti tra quelle lasciate dalle sorelle del pittore al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e, con un prestito importante, l’Autoritratto del 1924, che fu di Giuseppe Raimondi.
Attraverso queste immagini è possibile cogliere in tutta la sua forza e la sua raffinata eleganza, la particolare poetica dell'artista così attenta al dato formale eppure così ipnoticamente essenziale: è il caso, naturalmente, delle numerose nature morte (genere prediletto ma non esclusivo) che nella selezione espositiva consentono di ripercorrere con chiara immediatezza l'iter stilistico e creativo del maestro. Nelle silenziose armonie delle composizioni di oggetti quotidiani rivive la meticolosità di un dialogo privato che si consumava in giorni di solitaria riflessione nello studio a contatto con quelle cose umili ma mai banali, che infine Morandi sapeva trasfigurare in istantanee di delicato equilibrio, dove la nuda semplicità delle forme è il mezzo per sviscerare la vera essenza della realtà circostante e insieme indulgere all'espressione di puri valori estetici. È forse anche per questo che Morandi incontrò il favore critico di Roberto Longhi, la cui vena lirica ha ispirato pagine fra le più intense nella storia dell'arte italiana, e forse anche di questo si nutriva "quella certa affinità spirituale" fra il pittore e il circolo fiorentino che la mostra curata dalla professionalità e dalla passione di Mina Gregori e Maria Cristina Bandera intende sottilmente rievocare.


(fonte: Corsera, 5 gennaio 2005, Terza Pagina)

* Isabella La Costa è una nostra preziosa collaboratrice e cura il corso "Il Rinascimento@Venezia" che si svolge presso la nostra sede.
Per tutte le informazioni
consultare la pagina:
Corsi.


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Lingue, linguaggi e dialetti
di Paola Sereni

I limiti
del mio linguaggio
significano i limiti
del mio mondo.
LUDWIG WITTGENSTEIN, Tractatus 5.6


Nel mondo di oggi, dove gli spazi sono annullati dai nuovi mezzi di comunicazione globale (Internet in testa), si sente l’esigenza, da un lato, di comunicare attraverso la mediazione di una lingua comune funzionale, ruolo che in occidente è occupato senza dubbio dall’inglese, grazie anche alla sua adattabilità, che la rende idonea a specializzarsi in tanti linguaggi diversi.
Dall’altro lato si afferma l’esigenza di avere dei contenuti originali da trasmettere, che fatalmente sono elaborati nella propria lingua madre o addirittura nella lingua del proprio ‘microcosmo’ socioculturale di riferimento: un professore universitario padovano possiede una lingua di riferimento molto diversa dalla musicista barese o dal poeta genovese, come diverso è il contesto in cui questi personaggi si muovono.
Insomma, sembra un paradosso, ma proprio mentre la lingua acquista gradi di stilizzazione e di minimalizzazione in microtesti (dagli sms alle e-mail), tanto più si sente lo stretto legame della lingua con la cultura che in essa si riflette.
Un simile fenomeno coinvolge particolarmente l’area culturale dell’Italiano: ad esempio, da una ricerca condotta qualche tempo fa dall’Unione Latina è risultato che la lingua italiana è molto presente nel web, soprattutto nell’ambito di siti culturali (circa il 3% del volume globale di comunicazioni in rete) e comunque certamente molto più presente in rapporto alla relativamente esigua popolazione che parla l’italiano.
E’ noto pure che non solo gli stimoli provengono dalle istituzioni culturali – dall’Accademia della Crusca alla Società Dante Alighieri – ma da studi e ricerche statistiche è noto che gli stranieri che studiano l’italiano all’estero vanno aumentando in misura esponenziale, con una crescita di circa il 60% nell’ultimo quinquennio, tanto che l’italiano sta avvicinandosi al tedesco e allo spagnolo.
In particolare nelle scuole tedesche l’italiano, per scelte governative, sta acquistando sempre più consensi.
Da ricerche di marketing, sembra che la lingua italiana sia percepita all’estero come un riflesso del ‘buon vivere’ italiano, dalla cucina all’arte, al paesaggio, alla musica, alla qualità di vita non solo in termine di durata ma di piacevolezza. Insomma, gli stranieri studiano volentieri l’italiano per riflesso della propensione che hanno verso il nostro Paese e i suoi abitanti. E’ quasi un revival del mito dell’Italia del Grand Tour!
Sarà anche che l’apprendimento di una lingua straniera, oltre ad essere un mezzo di autopromozione professionale, è scientificamente riconosciuto come un mezzo eccellente di quella ginnastica mentale oggi chiamata mind building (costruzione della mente) che aumenta la nostra densità neuronale nella sostanza grigia del nostro cervello.
In Italia, le ultime statistiche permettono di rilevare che, se l’inglese continua ad essere la lingua più studiata dai nostri compatrioti (circa il 78%), molti iniziano a scegliere anche lo spagnolo (il 10%), la lingua più diffusa nel mondo in termini numerici (negli stessi USA segue dappresso l’inglese). Gli Italiani si stanno avvicinando anche a lingue complesse come l’arabo o il cinese, mentre lo studio del francese e del tedesco è decresciuto considerevolmente nell’ultimo quinquennio.
Per quanto riguarda il latino, notoriamente nei licei italiani è studiato come una lingua morta, a differenza dei Paesi del nord (a partire dalla Germania); in Finlandia l’emittente di Stato (Yle) da circa quindici anni trasmette un giornale radio settimanale (Nuntii latini) interamente in latino. Il programma dura cinque minuti e raccoglie gli avvenimenti più importanti nazionali e internazionali della settimana e le più significative notizie scientifiche e culturali. Nel Paese vi sono molti studiosi ed estimatori della lingua latina che sostengono che l’insegnamento del latino è fondamentale perché è una delle identità comuni dell’Europa e quindi dovrebbe non solo essere studiato come una lingua morta ma in maniera da scriverlo e parlarlo correttamente al pari di un’altra lingua viva.
In questo contesto generale di ‘difesa della lingua’ è apparsa recentemente sulla stampa la notizia che nel Lazio è stata - su input dei Verdi e con il plauso dei leghisti - addirittura approvata una normativa per sostenere i dialetti laziali, anche attraverso la creazione di un Istituto per la Tutela e la Promozione dei Dialetti del Lazio.
Una simile iniziativa ha ricevuto l’apprezzamento anche del più grande linguista italiano, Tullio de Mauro, che però in un recente articolo su l’Unità ha messo in guardia contro operazioni di sapore campanilista e per lo più artificioso, ricordando che un singolo dialetto laziale non è mai esistito.
In effetti, nell’ambito di questa apparente necessità generalizzata di difesa a oltranza della Lingua (con la ‘L’ maiuscola) e della sue insostituibili funzioni di espressione e di comunicazione, si tende a dimenticare che quando ci si erge a ‘paladini’, a monte deve esserci una implicita ‘scelta culturale’, che non appare così scontata nel caso dei dialetti, quanto meno perché hanno storie socio-politiche molto differenti, dai linguaggi delle terre irredente al vernacolo di carattere più popolare o spettacolare oppure semplicemente caratteristiche ‘estetiche’ più o meno gradevoli.
Ed è rischioso pensare che un dialetto è più valido di un altro e più meritevole di tutela perché ad esempio nobilitato dal Belli o da Trilussa...
Sarebbe inoltre da considerare che i dialetti per loro natura sono dinamici e mutevoli perché ‘seguono la vita’ e perciò sono insofferenti -per definizione- ad una cristallizzazione e ad una loro istituzionalizzazione che appare quasi una ‘contraddizione in termini’.

 

Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non contan nulla
per me: non sono né dure né molli, non hanno colore, non hanno spigoli, non
hanno odori, non hanno sapore, non hanno null'altro che parole.
Forse è questo ciò che impedisce di trovar la pace: le troppe parole.
HERMANN HESSE, Siddharta

Un libro o una lettera può costituire un'associazione più intima fra esseri
umani che distano migliaia di chilometri l'uno dall'altro, di quanto non
esista fra conviventi sotto lo stesso tetto
JOHN DEWEY, L'Arte come esperienza

Da un'intervista a Salvatore Settis (in occasione della
querelle sulla definizione di Buttiglione alla Commissione Europea degli
omosessuali come peccatori) : "ciò che è linguisticamente corretto è
anche socialmente corretto"

“Ogni parola ha confini fluttuanti. Sfruttare questo dato di fatto ai fini del risultato estetico è il segreto dello stile”
ARTHUR SCHNITZLER, La trasparenza impossibile

 

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Mostra internazionale  

Il Codice Atlantico
nell’edizione Hoepli 1894-1904
curata dall’Accademia dei Lincei


La mostra dedicata al Codice Atlantico di Leonardo da Vinci è legata a una delle più prestigiose collezioni di modelli di macchine realizzati per il Museo Leonardiano di Vinci e al più importante documento storico sugli studi dei manoscritti vinciani.
Infatti l'edizione Hoepli del 1894 del Codice Atlantico, curata dall'Accademia dei Lincei, coincise con l'avvio della trascrizione integrale e degli studi più sistematici sulle tavole contenute nel più famoso e consistente fra i codici leonardiani.
Istituzioni importanti, come il Museo Leonardiano di Vinci e l'Accademia Nazionale dei Lincei, conservano le rare copie di quell'edizione che oggi, dopo il restauro dell'originale, costituisce l'unica opportunità di rivedere l'Atlantico così come Pompeo Leoni lo "costruì", alcune decine di anni dopo la morte di Leonardo.
Una selezione significativa e commentata delle tavole dell'Atlantico accompagnata da un catalogo di oltre 250 pagine a colori in inglese, italiano e tedesco ha consentito di realizzare la più imponente mostra di carattere divulgativo sul codice vinciano. Circa settanta supporti ospitano le tavole e pannelli introduttivi aprono le sezioni in cui l'allestimento è stato diviso. La mostra si sviluppa in un percorso di oltre 90 metri e si estende su una superficie di circa 400 mq.

Le sezioni in cui è divisa la mostra
La mostra è divisa in 3 sezioni: la prima è dedicata al lavoro di Pompeo Leoni, lo scultore che raccolse i manoscritti leonardiani ordinandoli in un grande volume oggi conosciuto con il nome di Codice Atlantico.
La seconda sezione esamina la struttura del Codice, e le tavole selezionate raccontano il modo di
lavorare di Leonardo e l'ampiezza dei suoi interessi. La terza sezione è dedicata al restauro che l'Atlantico ha subito fra il 1962 e il 1972. Vengono documentate le scoperte (in verità poche) fatte scollando i fogli che Pompeo Leoni aveva unito e anche i danni che il restauro ha provocato.

I materiali
I materiali esposti sono soprattutto le tavole leonardiane dell'Accademia Nazionale dei Lincei, selezionate secondo i criteri sopra ricordati e prodotte a partire dal 1894 su carta speciale Fabriano e con la tecnica dell'eliotipia.
Inoltre un numero significativo di macchine, realizzate sulla base dei disegni leonardiani negli anni '50 e facenti parte della collezione del Museo Leonardiano di Vinci, arricchisce l'esposizione aggiungendo un motivo di forte attrazione.
In questa sezione vengono esposti anche prodotti ad alta tecnologia di aziende leader nel proprio
settore produttivo che svolgono il ruolo di testimoni del progresso tecnologico e scientifico raggiunto dopo cinque secoli dal Rinascimento.

Il messaggio divulgativo
L'intento della mostra unisce alla volontà di esibire in maniera articolata per la prima volta fra il grande pubblico l'attività di Leonardo la spinta, soprattutto fra i più giovani, a credere nel valore della curiosità come molla fondamentale per il progredire della conoscenza.
Leonardo genio curioso è un modello da imitare perché il rapporto con il sapere non sia mai ritenuto
sufficiente, esaurito.
Mostrare la quotidianità di un grande genio, negli anni della nascita della scienza moderna, vuole essere una provocazione per dire che il tempo che ci separa dal Rinascimento è carico di grandi conquiste ma anche di grandi interrogativi ancora irrisolti.


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Le realizzazioni di Francesca Cataldi al Giardino Segreto di via di Panico
di Laura Fortunato* .

Come l’hortus conclusus medievale, ricco al suo interno di allegorie e metafore, il giardino segreto vuole allo stesso tempo meravigliare e spingere il visitatore ad indagare e porsi domande.
In questo spazio, volutamente essenziale, trovano posto dal 26 novembre al 20 dicembre le interessanti opere di Francesca Cataldi.
Alle pareti spoglie dello spazio espositivo fluide colate di vetro, posate come morbidi tessuti su rigidi supporti metallici imprigionano frammenti di ferro; i residui ferrosi sono fermati e bloccati nel loro processo di degenerazione e sopravvivono, rinchiusi all’interno del materiale trasparente variamente modellato dalla creatività dell’artista e dalla luce stessa che attraversa.
Separate dalla via solo da una vetrata e sospese a mezz’aria, nuvole leggere e trasparenti, nuvole opalescenti, nuvole più scure e inquietanti, nuvole inquinate (e gonfie di ferro) che fanno piovere sulla terra (e si tratta di terra vera disposta sul freddo pavimento in cemento della sala) ora gocce trasparenti, ora gocce pesanti e metalliche; e sulla terra tutta l’acqua si raccoglie; l’acqua pura o inquinata dalle scorie e rifiuti della società industriale che le nuvole hanno “catturato”; nuvole che sono metafora del mondo e della vita, come le architetture naturali e artificiali del giardino segreto medievale.

26 novembre - 20 dicembre 2004
Vernice il 26 novembre ore 18,30

* Laura Fortunato è una giovane architetta che svolge la sua attività professionale sul campo soprattutto nel restauro di complessi monumentali in regioni piene di storia e ricche di città d’arte come l’Umbria e le Marche.
Laura è una delle prime socie di webtimec, che ha sempre partecipato attivamente alle iniziative dell’associazione ed è stata una collaboratrice preziosa della rivista ItalyVision -che molti dei soci ben conoscono- su cui sono comparsi molti suoi articoli scritti con una prosa piacevole e spesso vibrante, da cui traspare una grande sensibilità e una notevole cultura estetica, arricchite dalle suggestioni dei luoghi pieni di storia che ha frequentato nel suo lavoro.
Alcuni titoli: Città e stabilimenti balneari italiani tra Ottocento e Novecento (ItalyVision n. 6/2003); La dolce Umbria di inizio Ottocento...(n. 7/2003); Le architetture degli Ordini Mendicanti nelle città del ‘200 e ‘300 (n. 8/2003); Le architetture delle Certose e la ‘solenne solitudine’ dei certosini; Paesaggio della seta e l’architettura delle filande in Vallesina (n. 3/2004).

Si veda anche la sua autopresentazione nella pagina:
Struttura


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Il boom di Google
Le strategie dei motori di ricerca.
di Fiammetta Lozzi Gallo

5 ottobre - Google, il motore di ricerca più utilizzato del mondo, è arrivato alla cifra vertiginosa di 300 milioni di navigatori al giorno ed ha registrato un + 56% dall'ingresso in Borsa il 18 agosto scorso.
Recentemente, ha lanciato il suo sito in cinese-mandarino. Per riuscire nell’impresa ha firmato a fine settembre un compromesso col governo di Pechino che minacciava di inserirlo nel suo indice dei siti proibiti. Il motore ha di fatto applicato lo stesso filtro governativo alle sue ricerche, limitando così fortemente lo spirito libero delle ricerche in Rete, ma potendo così lanciare la nuova interfaccia e raggiungere un mercato gigantesco. Gli analisti di borsa esultano e investono.
Il futuro per i motori di ricerca è, secondo gli esperti del settore, nella pubblicità sponsorizzata cioè quelle righe di testo che vediamo a destra della schermata quando lanciamo una ricerca: mentre il traffico nel motore cresce, sale in proporzione il "prezzo per click", cioè il prezzo che l’inserzionista deve pagare al motore di ricerca per apparire tra i risultati delle ricerche per parole-chiave.
Nel frattempo, per cercare di rispondere ai successi di Google e riconquistare gli utenti, gli altri motori di ricerca - tra i quali giganti del settore come Yahoo! - cercano nuove strategie.
Yahoo! ha lanciato Yahoo Local, un motore di ricerca su base locale. La società vuole infatti fronteggiare Google proprio sul suo terreno privilegiato: quello del business regionale. Google si vanta di poter essere il veicolo ideale per la pubblicità anche del ‘tassista di Londra’ o del ‘salumiere di Chicago’.
A metà settembre Amazon, la gigantesca libreria virtuale, ha invece proposto ‘A9’, un motore di ricerca personalizzabile: l'utente vi può trovare citazioni e brani di libri, può scrivere on line e mettere segnalibri...

... e vinca il migliore!